Ricordare la Resistenza
di Giovanni Genovesi
La Presidente Meloni nel suo discorso alle Camere per la fiducia ha archiviato la Resistenza. Una sbadataggine? Forse. Allora la ricordo io qui tra le parole dell’educazione, perché non si può mai dimenticare. Come vede, signora Presidente, le ho già riscritto prima di gennaio 2023!
Resistenza. Con questa espressione si definisce il movimento popolare di opposizione al nazifascismo. In questo senso, però, limitato all’idea di lotta armata contro il nazi-fascismo, la Resistenza non è mai stata veramente colta nel suo valore epico, di avvenimento eroico. Gli eventi della Resistenza sono paragonabili a quelli narrati nell’Iliade, giacché entrambi si danno come emblematici di un modo e di un ideale di vita e gli uomini che li compiono sono degli eroi, dei modelli per la formazione delle nuove generazioni. E questo perché la Resistenza va al di là del fatto contingente. Essa non fu soltanto lotta contro i nazi-fascisti, e quindi per la liberazione dal regime brutale di cui essi erano i portatori, ma fu lotta per la libertà, e cioè contro qualsiasi forma di oppressione presente e futura. È riduttivo, pertanto, classificare la Resistenza soltanto come fenomeno antifascista, non foss’altro perché l’antifascismo pre-repubblichino ha un significato e forme diverse da quello che prende corpo nello Stato fantoccio di Salò. Comunque, l’antifascismo, o l’antinazifascismo, è solo il motivo contingente di una lotta armata di un popolo, o della parte più cosciente di esso, per la libertà. Il movimento armato della Resistenza non può essere banalizzato a semplice jacquerie, conteggiandone in maniera ragionieresca i partecipanti, gli scontri e gli episodi cruenti giudicandoli, peraltro, con un generalizzante moralismo emotivo comprensibile ma non certo giustificabile alla luce del significato storico di un evento che ha posto le fondamenta etiche del nuovo stato italiano di diritto. In questo senso di rifondazione di ideali per un più umano vivere civile, la Resistenza riveste un valore epico, di modello cui ispirarsi per perseguire nella strada verso la giustizia e la libertà. A questo contribuirono e per questo lottarono coloro che alla Resistenza dettero vita sacrificando la loro e rappresentando tutto un popolo, anche, paradossalmente, quella parte di esso che li stava avversando. E questo contributo venne soprattutto dalle forze della sinistra, non tanto perché numericamente furono in maggioranza nel movimento della Resistenza, quanto soprattutto perché da esse emanava, per tradizione politica, più forte e deciso, l’appello all’affrancamento dall’oppressione e alla libertà e non solo dal fascismo. Se nelle forze liberali vi era preponderante la volontà di ripristinare l’assetto sociale che c’era prima del fascismo e in quelle monarchiche quella di conservare la monarchia, nelle forze di sinistra c’era la tensione al nuovo non al ripristino del vecchio. Esse lottavano per l’ideale di un mondo diverso e migliore per tutti. Per questo esse avevano la leadership della Resistenza e per questo esse hanno avuto e hanno la maggiore responsabilità di un illanguidimento o di una non piena valorizzazione della Resistenza al di là del semplice trionfalismo partitico. Le forze della sinistra debbono saper rivendicare il valore morale della Resistenza non tanto perché fu lotta antifascista, quanto perché essa fu una lotta per la libertà, per gli ideali di un mondo migliore, perché fu espressione del coraggio dell’utopia e che pertanto sarà sempre un esempio di come l’uomo possa operare per perseguire senza posa il miglioramento della qualità della vita per sé e per tutti gli esseri viventi. Altrimenti, invece di rendere la Resistenza un momento fondante di tutta la nostra società, si corre il rischio di ridurla a semplice “festa di partito”. Ai giovani la Resistenza deve essere riproposta non tanto perché fa parte di uno dei tanti episodi della storia della nostra nazione, quanto perché essa è epitome dei valori della nuova Italia sorta nel dopoguerra e, soprattutto, degli ideali etico-civili che caratterizzano l’uomo a prescindere dalla sua nazionalità. La scuola non può non partecipare di questi ideali che fanno appunto della Resistenza un avvenimento epico, un modello sicuro di riferimento per l’educazione di un popolo. Purtroppo è proprio quanto non si è ancora riusciti a fare a distanza di cinquanta anni e più. E qui il tempo gioca indubbiamente a sfavore, giacché se non si è intervenuti fin da subito coltivando il senso della storia nei nostri giovani, il ricambio biologico, come allontana le acrimonie e i rancori, finisce per favorire ambigue operazioni mimetiche e, addirittura, per cancellare anche quanto sarebbe stato necessario affidare ad un “monumento più duraturo del bronzo”.
Testo ripreso da G. Genovesi, Le parole dell’educazione, Ferrara, Corso editore, 1998