Gioco
Gioco
di Giovanni Genovesi
Gioco – Attività gratificante che impegna la fantasia e l’immaginazione dell’individuo che sente la necessità di affermare la propria presenza nel mondo.
Il termine deriva dal latino jocus, gioco, scherzo, burla, beffa, dal verbo jectare (frequentativo di iacere, gettare, andare e mandare oltre, che traduce il greco ballein), il cui participio passato è iactum, da cui jaculum, dardo, con il senso primitivo di beffa. Ma il senso del gioco ritorna anche nel termine ludo, il cui aggettivo ludico è usato appunto per designare quell’atteggiamento che attiene al gioco. Ludo, infatti, deriva dal latino ludus, da ludere, illudere, ingannare, giocare, scherzare, divertirsi, esercitarsi.
Considerazioni generali – Il gioco è un’attività culturale e come tale la si apprende. Il piccolo dell’uomo è “naturalmente programmato” per il gioco, ma impara a giocare e, abbandonato a se stesso, spreca inevitabilmente queste sue potenzialità, mandando in tilt il circuito della sua programmazione ludica.
Al di là delle primissime manifestazioni puramente motorie, il gioco si nutre, in maniera sempre più massiccia, di aspetti extra-biologici, incanalandosi decisamente per i sentieri della razionalità. Esso è strettamente legato all’affinamento del processo razionale e conoscitivo ed è, di principio, destinato a raggiungere il suo apice nel gioco intellettuale, cioè nell’uso creativo della parola quale simbolo per eccellenza.
La condizione necessaria perché ciò sia possibile sta nel guidare l’attività ludica ad entrare sempre più in interazione dialettica con le potenzialità dell’homo faber, già presenti, peraltro, nel bambino. Grazie a tale interazione, guidata e appresa, l’attività ludica non è relegabile ad un periodo circoscritto della vita: essa è il lievito di tutta l’esistenza.
Il suo valore educativo – Il valore educativo del gioco sta proprio in questa visione prospettica della realtà, che esso coltiva sperimentando l’impersonificazione drammatica (mimicry), l’azzardo (alea), ma anche la vertigine (ilynx) della disobbedienza e dell’onnipotenza, in funzione di regole “arbitrariamente” pattuite in una sospensione temporanea del quotidiano.
Il giocatore, come il mago, si colloca idealmente al centro di un cerchio, di un luogo circoscritto, dove, messa tra parentesi la vita ordinaria, vigono regole da cui si può recedere, ma non derogare.
Esse costituiscono un rito (magia) che non ammette variazioni né tollera scetticismi. Guastafeste o profani, che si oppongono al rispetto delle regole, rompono il cerchio magico, infrangono il fascino celebrativo del rito, con le sue gratificanti mascherature, la sua convenzionale misteriosità e arbitraria esclusività.
In questo regno della strategia dell’animismo, che dà vita propria ad ogni fenomeno, tutto è investito di simboli e diviene un possibile partner di gioco. L’homo ludens è sempre in comunicazione patica con l’altro da sé: egli lo vede non per il che cosa è, ma per il come si dà, lo coglie nelle sue potenzialità di essere diverso e quindi nel suo poter essere diverso.
In tale processo, l’animismo ha un ruolo decisivo, cosciente il giocatore stesso, il quale ritaglia dal quotidiano una sfera d’intervento per instaurare la sua “illusione cosciente”, il suo regno di immagini e di simboli, che gettano un ponte tra io e mondo.
Gioco e magìa – Nel gioco, come nella magia, cade la separazione tra soggetto e oggetto. Il bambino, in specie al di sotto dei dodici mesi, non opera una netta distinzione tra sé e mondo, tra io e non-io. Proprio su questa modalità sincretica si fonda il magismo che dà vita al gioco.
Così gli oggetti diventano per il bambino delle entità vive e attive. Come per il mago, anche per il bambino, essi sono centri di forza, dei “mana”, in quanto non solo denotano un essere, ma un agire.
Per il bambino agire su un oggetto a lui vicino è agire sul complesso degli oggetti che lo circondano (mentalità metonimica).
La stessa parola è da lui avvertita come un modo di intervenire direttamente sulle cose. Siamo di fronte a ciò che Piaget definisce realismo.
Da un punto di vista logico questo tipo di intervento sta a significare la volontà di creare un corto circuito all’interno del processo di ricerca razionale, volontà che è in stretta consonanza con quella strategia d’assalto propria del mago: si modifica il tutto, agendo per modificarne una sua parte.
È chiaro il fine immediato di tale strategia: un fine eminentemente pragmatico che, però, si tramuta inevitabilmente in mezzo per il perseguimento di un fine a più lungo termine, di cui l’individuo si va facendo mano a mano più consapevole: quello di una razionalizzazione della realtà. Non a caso tale strategia di pensiero è reversibile e ammette continui “aggiustamenti di tiro” nelle sue manifestazioni. Se, dunque, in questa sfera animistico-magica, o se vogliamo di fermento ludico, tutto viene ad essere reificato, tali reificazioni sono labili, mutevoli, reversibili: valgono solo nell’hinc et nunc.
Ebbene, tali forme magiche, animistiche, sono la ragione stessa dell’attività ludica e rappresentano quindi la fonte prima del gioco.
Gioco e apprendimento – Tramite il gioco il bambino si esercita a dare ordine al mondo, a “dominarlo”, a conoscerlo, a declinare il suo essere in rapporto all’altro da sé. Ma, tramite il gioco, il bambino viene anche stimolato ad esercitarsi perché si assuefaccia alle norme di coesione del gruppo in cui vive.
Basti pensare, a questo riguardo, alle varie esperienze ludiche descritte dagli antropologi in società semplici, contraddistinte dalla non separazione dei diversi livelli generazionali, dalle quali emerge con chiarezza il ruolo di apprendimento, non privo anche di una carica di conflittualità, nei confronti della riproduzione culturale sia a livello mimetico sia a livello simbolico, dato che non tanto le azioni degli adulti vengono “ripercorse” e riproposte nei giochi infantili, quanto i loro significati.
Non a caso, proprio in funzione di tale “riproduzione simbolica” che seleziona affrancando l’esperienza ludica dalla pura imitazione, i giochi infantili, nelle società complesse, sono soggetti a reinterpretazione e a continue innovazioni, anche in funzione dell’azione della scuola, che allargano sempre più la tipologia ludica.
Questa massiccia presenza del simbolo nel gioco, se rimarca il ruolo dell’animismo e del realismo, non esclude affatto il ruolo del linguaggio come modo per organizzare la realtà. Anzi, proprio questo aspetto, connesso strettamente con il primo, fa sì che nel gioco venga sempre più a prevalere il significato attribuito all’oggetto di gioco rispetto alle proprietà dell’oggetto stesso.
Gioco e linguaggio – Pertanto, se l’universo magico-ludico si fonda sulla permeabilità tra lo psichico e il fisico, esso è posto in essere grazie all’immaginazione, alimentata dal linguaggio, che ritaglia coscientemente tale universo dal normale flusso esistenziale, dal quotidiano soggiacere alle leggi della causalità e della non contraddizione, creandosi un “mondo parallelo”.
Il regno della necessità è unidimensionale, quello del gioco è duale: accetta il molteplice, accetta, anzi esige un ego che si proietta in molteplici alter-ego. Prevede così un’infinita serie alternata di ruoli, come nel gioco delle guardie e dei ladri, ma anche come nel dialogo che del gioco mantiene la caratteristica fondamentale dello scambio costante dei ruoli e del reciproco influenzamento che ne deriva, permettendoci di ascoltare e accettare altri punti di vista dal nostro.
In quest’ottica il gioco non è concepibile come semplice attività imitativa ma esso è sempre un metamessaggio, ossia non è il nome di un atto o di un’azione; è il nome di una cornice per l’azione. Ma la funzione simbolica, che è a fondamento del gioco, può prosperare solo grazie alla “predisposizione” di situazioni stimolanti e problematiche che stimolano la crescita dell’individuo nelle sue due componenti fondamentali di gioco e lavoro, di ipotesi e di verifica delle ipotesi.
Giocare è incrementare forza mentale da ricalare nel quotidiano, è saper formulare ipotesi da verificare nel reale, è il coraggio di prospettare ideali da perseguire nella vita di tutti i giorni. La dimensione ludica si rivela, quindi, la base per l’avvio del processo conoscitivo a patto, però, che allo scrupoloso rispetto delle regole si affianchi la consapevolezza della loro convenzionalità; ossia, il gioco si nutre di autoillusione cosciente.
Istillare tale consapevolezza è un compito educativo. Come tutto ciò che vale la pena di possedere per il miglioramento della nostra esistenza, anche il saper giocare non è un dono naturale, ma richiede sforzo, guida e orientamento per essere appreso. E lo si apprende grazie anche alla possibilità di usufruire di proposte ludiche di ampio respiro sia dal punto di vista qualitativo (con l’offerta di proficue interazioni sociali organizzate dall’educatore), sia dal punto di vista quantitativo (attraverso l’organizzazione di ambienti ricchi di materiali di gioco e un deciso slargamento degli spazi e dei tempi di gioco).
Si pensi, ad esempio, ai parchi Robinson, ai campeggi, alle ludoteche, insomma a tutti quegli spazi strutturati, guidati da precise intenzionalità educative e sorretti dalla presenza costante di coloro che sanno “suscitare” situazioni problematiche commisurate alle capacità di soluzione degli “utenti”. Si tratta di centri di scuola parallela, in cui è favorita la socializzazione attraverso il formarsi di gruppi che possono dar vita a vari tipi di gioco, da quelli di movimento a quelli drammatici (drammatizzazione, ossia forme di rappresentazione teatrale o di gioco-dramma) a quelli in cui prevale l’aspetto agonistico a quelli in cui è privilegiato il momento della mimicry o della rappresentazione simbolica.
In simili contesti educativamente organizzati, che agiscono in stretta complementarità ed interazione con la stessa istituzione scolastica, il gioco trascende il puro passatempo per attingere il suo proprium, ossia un cosciente esercizio mentale in cui il giocattolo diviene vero e proprio partner, caricandosi di valenze magiche – e perché no, demoniache – che servono per intrecciare storie che non ci sono mai state e che non ci saranno mai, per dar vita ad un mondo d’utopia, in cui si svolgono vicende alternative alle rigide costrizioni della realtà.
L’importanza del simbolico – A questo in definitiva serve il gioco: a coltivare la fiducia razionalmente guidata che si possa e quindi si debba pensare un futuro migliore del presente e che si debba lottare per conseguirlo.
Ma ciò è possibile proprio in quanto il gioco è oggetto di una precisa attenzione da parte dell’educatore, che sa infondere nell’individuo la capacità di meravigliarsi, che stimola, in forme polivalenti, ad “esplorare le dimensioni nascoste dell’esistente” all’insegna del come se, ossia del valore dell’ipotesi come insostituibile avvio all’avventura della mente.
Per questo il gioco è proprio solo dell’uomo.
In questa concezione del gioco vengono a porsi in evidenza alcuni aspetti di estremo interesse dal punto di vista educativo, ossia l’aspetto estetico, etico e conoscitivo.
Il primo si sostanzia nel gioco attraverso il dar vita ad immagini che sono piacevoli e fonte di sicurezza per la loro armonia e, al tempo stesso, tali da permettere di imparare “a vedere il mondo in trasparenza”.
Il secondo aspetto, quello etico, prende corpo grazie al costante sentimento di partecipazione con l’altro da sé, tramite quella carica di empatia tipica dell’atteggiamento ludico che, superando la semplice tolleranza, permette di vedere l’altro come fonte di continui miglioramenti. In stretta connessione a questa prospettiva è da rilevare il completo disinteresse, che contraddistingue il giocatore, a strumentalizzare l’altro, il partner di gioco.
Infine, per ultima ma non ultima, è da considerare la dimensione conoscitiva insita nella sfera ludica.
La componente conoscitiva, peraltro già presente nelle due precedenti, si celebra nell’ineliminabile impulso, che agisce all’interno del gioco, a non accettare la realtà per ciò che essa è, ma a cercare di trasformarla in vista di ciò che può e deve essere. È questo un impulso che porta il giocatore sulla via della formulazione di ipotesi, ossia di una visione prospettica della realtà come sicuro inizio del processo conoscitivo.
Dunque, il comportamento ludico permette di avviare alla conoscenza tramite l’apparente contrario del processo conoscitivo stesso, ossia tramite quell’atteggiamento patico, quella comunione sentimentale e totale con l’oggetto di gioco, da cui emana una sorgente inesauribile di immagini.
Gioco e esistenza – Proprio in questa prospettiva il gioco si apparenta strettamente all’utopia. Come si può, dunque, vedere, il gioco, il giocare non può certo essere limitato ad un semplice ruolo di addestramento senso-motorio o a quello di décharge psichica, dal momento che si configura come responsabilità da parte dell’individuo di essere il multiforme attore della sua stessa vita, di recitare delle parti da lui stesso scelte non per gli altri, per degli spettatori, ma per edificare in maniera la più unitaria e significante possibile quell’esigente e irrevocabile teatro che è l’esistenza.
Il gioco acquista così nuove e illimitate dimensioni, rompendo il cerchio della istituzionalizzazione per aprirsi al flusso problematico dell’esistenza. L’uomo gioca ed è perciò attore, è creativo, svolge il teatro della sua vita. In ultima analisi si educa perché vive attraverso moduli propri. Quanto detto permette di sottolineare l’importanza non tanto del gioco in senso stretto, cioè come semplice mezzo tecnico di espressione, quanto quella dell’atteggiamento ludico come modo peculiare e personale dell’individuo di essere nel mondo.
L’individuo che affronta una situazione problematica può risolverla in maniera funzionale e in modo tale che la stessa soluzione costituisca un arricchimento qualitativo della sua personalità, solo se si dispone ad affrontarla con un atteggiamento ludico.
L’ipotesi, cioè, che gli permetterà di superare quella determinata situazione potrà sorgere soltanto qualora l’individuo sappia riunire i dati che la realtà gli offre, in modo da superare e così trasformare la realtà stessa, vedendoli per il loro come e non per il loro che, vedendoli, insomma, non nel loro essere ma nel loro poter essere.
È questa, appunto, la sfera del gioco; ma è questa anche la sfera del processo conoscitivo. Il gioco, quindi, come atteggiamento ludico si identifica con il processo esistenziale stesso, con il modo intelligente di affrontare la vita.