Obbligo scolastico
di Giovanni Genovesi
Obbligo scolastico – È il vincolo previsto dalla legge di frequentare la scuola per un determinato periodo di anni al fine di conseguire gli elementi fondamentali che caratterizzano la volontà di perseguire la strada per la padronanza di sé. Così, almeno, dovrebbe essere.
Il termine obbligo deriva dal latino obligare, obbligare, vincolare verso qualcosa, composto da ob, dinanzi, verso, e da ligare, legare, vincolare.
Considerazioni generali – Qualche tempo fa, in una tavola rotonda sul problema dell’obbligo scolastico, un collega di cui non ricordo il nome e non importa, se ne uscì con l’affermazione che ormai l’obbligo scolastico aveva fatto il suo tempo in un mondo in cui le possibilità formative e informative si erano moltiplicate a dismisura.
A me, una simile affermazione sembrò una petizione di principio, perché postulava che, per poter usufruire nel modo corretto delle varie offerte potenzialmente educative, i soggetti siano preparati e forniti degli strumenti intellettuali che solo una scuola può dare.
Se vuoi che la gente cresca non solo fisicamente ma anche intellettualmente è necessario che frequenti luoghi dove può apprendere cose che mai avrebbe immaginato potessero esistere e, addirittura, avere la possibilità d farle proprie. Questi luoghi si chiamano scuole che danno la possibilità di aprire orizzonti culturali che non si fermano alla gente che c’è, ma si può mettere in contatto con chi è stato e con chi ha lasciato segni tangibili del suo tempo.
L’aspetto linguistico non solo nella forma orale, ma anche nella forma di leggere ciò che altri hanno detto e scritto, è uno strumento fondamentale per orientarsi nel mondo in cui viviamo, facendo tesoro di quanto è stato scritto in epoche diverse. Leggere, scrivere e numerare e abituare a decifrare ciò che altri hanno scritto o “numerato” prima di noi o contemporaneamente a noi e a sorvegliare ciò che noi stessi stiamo scrivendo nella forma e nel contenuto perché possa essere comunicabile e letto da altri si traduce nel dar luogo a un intreccio di scambi intellettuali che contribuisce a costruire una comunità caratterizzata da una cultura di cui noi stessi ci sentiamo partecipi.
Tutto questo è possibile grazie al fatto che una scuola ci ha fatto apprendere gli strumenti per farlo. Se ciò non fosse, il soggetto resterebbe analfabeta e incapace di fare cultura e di usufruire al meglio di quella che c’è.
Attualmente l’obbligo scolastico nel nostro sistema scolastico resta dai 6 ai 16 anni. Durante questo arco temporale di dieci anni, i bambini ed i ragazzi devono ricevere un’istruzione presso un istituto statale o scuola paritaria o, in alcuni casi, anche a casa usufruendo dell’istruzione dei genitori detta scuola parentale.
A parte il non aver avuto il legislatore il coraggio politico di portare l’obbligo scolastico fino al 18 anno di età, né la forza di staccare decisamente la scuola da essere l’instrumentum regni del governo di volta in volta in carica, l’obbligo scolastico ha tutti vizi e i difetti di una scuola che non è, come dovrebbe essere, uno dei poteri portanti di uno Stato di diritto insieme a Parlamento, Governo, Magistratura.
Un vero obbligo scolastico ha un senso quando si hanno chiari i fini della scuola. L’obbligo scolastico è, insomma in funzione del tempo dedicato ad una scuola unitaria, senza frammentazioni in deviazioni professionalizzanti. E questo perché la scuola, tutta la scuola, ha il compito di fare ricerca e di fare imparare a farla.
Riprendendo il discorso iniziale, la prescrizione dell’obbligo scolastico può apparire superflua e addirittura illibertaria laddove ogni cittadino è visto come un soggetto in grado di reclamare per sé e per gli altri l’istruzione come un suo dovere-diritto. E, invece, essa è un mezzo procedurale indispensabile proprio per raggiungere quella consapevolezza che va costruita con cura e attenzione. Non è dunque una prevaricazione della libertà dell’individuo, perché si tratta di garantire al meglio il dovere-diritto dell’individuo ad apprendere in maniera sistematica come momento imprescindibile per ogni possibile miglioramento della qualità della vita. L’uomo che apprende è l’uomo che si garantisce la sopravvivenza, anche al di là dei limiti assegnatigli a livello biologico. Ma ciò è possibile solo in presenza di un apprendimento sistematico, ossia incanalato nei sentieri della razionalità e, quindi, della ricerca, gli unici che possono portare alla costruzione di quel sistema etico che fa dell’uomo un soggetto che sa cogliere il valore e il peso di essere libero e quindi fonte inesauribile di doveri e di diritti.
Excursus storico – L’organizzazione di una scuola obbligatoria affonda le sue radici nella storia.
Ne troviamo una a Sparta, dove i ragazzi, fin dai 6 anni, imparavano gli artifici della lotta e a usare le armi per diventare un abile guerriero e, quindi, un cittadino utile alla comunità.
Scuole obbligatorie di questo tipo, anche gratuite, tese a formare il soggetto per un mestiere o una professione erano anche quelle per scriba, rabbi, magister ludi, notaio, contabile, cavaliere, sacerdote, ecc.
Poi, con la Riforma luterana la scuola era gratuita e obbligatoria perché doveva servire a diventare un fedele e durava 5 o 8 anni, laddove si aggiungeva l’avvio a un mestiere; era per tutti, anche se per il pregiudizio sulla donna, per quest’ultima diminuiva la frequenza ai primi due anni. È il periodo in cui saper leggere la Sacra Scrittura, tradotta in tedesco da Lutero nel 1524, era quanto serviva allo scopo. Da allora in poi, la crescita della scuola cosiddetta elementare, ossia che avrebbe dovuto dare gli strumenti intellettuali di base per leggere, scrivere e far di conto – e soprattutto allora per fare un suddito fedele, rispettoso del trono e dell’altare – subisce un notevole aumento.
Inteso in questo modo, l’obbligo scolastico, specie dopo la pace di Aquisgrana che assicura all’Europa circa cinquant’anni di pace e permette ai principi di rinforzare la loro autorità, cacciando Gesuiti e impadronendosi delle scuole fino a quel momento pressoché loro monopolio, si espande per tutto l’Occidente.
L’Austria di Maria Teresa inizia con la riforma di Ignazio Felbiger nel 1774. Poi, con il prender piede delle Repubbliche, anche in Italia, a seguito della Rivoluzione francese, vennro fondate scuole dell’obbligo, gratuite per maschi e femmine, per diffondere i princìpi rivoluzionari attraverso manuali di educazione civica impostati a mo’ di dialogo e con una chiara funzione politica. Sostanzialmente sono le prime vere scuole dell’obbligo, che tendono a maturare la crescita del cittadino inteso come tale e non come suddito. Spazzate via le Repubbliche e il Regno di Murat, con la Restaurazione ricomincia, specie in Italia, un periodo quasi di sospensione nella scuola popolare, che riprenderà vita, sia pure grama, con la legge Casati del 1859, legge del Regno di Sardegna, poi estesa nel 1861 al neonato Regno d’Italia. La legge Casati istituisce, sì, la scuola dell’obbligo, ma solo per il primo anno della scuola elementare. Sembra quasi uno scherzo: far fronte al prorompente analfabetismo di circa l’80% con un solo anno di obbligo non serve neppure a imparare a leggere e a scrivere; l’obbligo, comunque, è reso ancora più inefficace dal concedere ai genitori la responsabilità opzionale di far compiere l’obbligo ai loro figli.
Vediamo ora lo sviluppo dell’istituzione dell’obbligo scolastico, cioè della “coscrizione scolastica”, com’era chiamata nel XIX secolo, avvicinandola a quella odiata della leva militare nell’Italia unita.
La coscrizione scolastica fu alzata di necessità di un anno rispetto a quanto previsto dalla legge Casati con la Legge Coppino del 1877.
Altro cambiamento fu apportato dalla legge Orlando dell’8 luglio 1904, n. 407, che aggiunse una sesta classe elementare e portò l’obbligo fino a 12 anni.
Con la riforma Gentile del 1923 l’obbligo fu portato a 14 anni, ma di fatto rimase lettera morta fino alla riforma della scuola media in scuola media unica con la legge n. 1859 del 31 dicembre 1962.
Tutto il comparto dell’obbligo che, secondo l’art. 4 della Costituzione è di otto anni, è chiamato scuola di base, che arrivò con gradualità a toccare il 100% degli obbligati con la classe dei nati nel 1976, quelli che ottennero la licenza nel 1990.
Con il ministro Luigi Berlinguer l’obbligo è stato portato a 15 anni insieme ad un fumoso obbligo formativo (L. n. 9 del 20 gennaio 1999).
Con la ministra Letizia Moratti, l’obbligo scolastico, ritenuto frutto di una visione autoritaria, è stato retrocesso di un anno e portato il prolungamento del diritto-dovere formativo, a suo avviso frutto di una visione liberale, prima a 18 anni e poi a 16 anni, riducendolo a un ghetto di scuola professionale; insomma un pasticcio neoliberista che ha confuso ancor più le cose (L. n. 53 del 28 marzo 2003).
Con il ministro Mariastella Gelmini, a cui fa capo la L. n. 240 del 30 dicembre 2010, l’obbligo scolastico è stato riportato, senza mettere in gioco l’ambiguo obbligo formativo, “almeno a 10 anni e riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni”.
Attualmente è sempre più forte la tendenza a estendere tale obbligo di almeno ancora due anni, ossia fino al compimento della scuola secondaria superiore.
La scuola dell’obbligo ha oggi nuovi programmi e, una parte di essa, quella elementare, una nuova struttura con la legge del maggio 1990. Ma né questi nuovi programmi né il varo della legge di riforma di legge della scuola di base sono certo in sé sufficienti a far fronte ai gravi problemi che ancora affliggono tutta la scuola, e non solo quella dell’obbligo